Questa è la parte 2 di 5 degli Appunti di Orientamento
C’È GRANDE CONFUSIONE SOTTO AL CIELO…
Questa è la parte 2 di 5. Quello che prima era il lavoro, e che presumibilmente sarebbe durato per tutta la vita, si ritrova ad essere un concetto troppo piccolo e lontano, troppo “ambizioso” e diventa più pertinente parlare di lavori.
A livello soggettivo assistiamo all’innalzamento del grado di complessità delle storie individuali, all’aumento dei livelli d’incertezza attraverso gli intrecci e la perdita di riferimenti che servivano ad attribuire certezze, o se vogliamo continuità, alla vita delle persone.
Pensiamo a come tutti quei riti di passaggio che prima scandivano la nostra esistenza oggi siano sempre più sfuggenti.
Studio e lavoro non sono più consequenziali e si parla di alternanza tra l’uno e l’altro, di aggiornamento continuo. Quel pezzo di carta che prima ci garantiva lavoro e futuro oggi è soltanto un pezzo di carta che va continuamente riscritto, integrato, riqualificato in certi casi dimenticato. Comunque continuamente adeguato.
Ancora: cambia il ruolo della famiglia. Quella di provenienza è il rifugio, il luogo in cui si consacrano i trent’anni, tana accogliente e sicuro dalla quale è difficile staccarsi, ma anche luogo spesso stretto e invadente.
Il tentativo di costruzione di una famiglia propria assume le sembianze di un’avventura. Come le favole nelle quali, prima di baciare la principessa (o il principe), c’era da affrontare delle prove. Ma quelle prove erano conosciute: il solito drago, la solita strega, l’inevitabile millenario e buio bosco. Cominciavano nel momento in cui qualcuno ci diceva “c’era una volta…” e si concludevano con dei personaggi che sarebbero vissuti felici e contenti. E adesso?
L’inizio è identico ma ci sono trasformazioni importanti nella storia e nel finale: i mostri e le magie si mescolano, buoni e cattivi hanno facce e comportamenti che me li fanno sembrare tutti uguali e gli strumenti che abbiamo per affrontarli non sono più adeguati, e scopriamo di avere tutte le caratteristiche e le insicurezze che hanno spinto la strega ad essere così cattiva. E ci fa tremare il pensiero che anche la principessa porti con se tutto questo malessere.
Quante volte abbiamo sentito: “Finché starai sotto al mio tetto…” e poi lamentarsi di come “Ai miei tempi a quell’età io già ero… già facevo… già avevo…”. Certo altri tempi e altri spazi a disposizione delle persone.
Come se tutto ciò non bastasse a questo bisogna aggiungere la velocità con cui si diffondono le conoscenze e insieme a come il moltiplicarsi delle stesse rischia di metterci fuori gioco. L’esempio più banale, e attuale, è l’informatica che nel giro di vent’anni a creato nuovi analfabeti.
O ancora peggio l’ingovernabilità delle informazioni e del sapere.
Immaginiamoci di entrare dentro una biblioteca alla ricerca di notizie e trovare tutti gli scaffali vuoti. Quante informazioni si troverebbero?
Immaginiamoci, adesso, di entrare dentro la stessa biblioteca alla ricerca delle solite informazioni e trovare gli scaffali ricolmi di libri ma non avere a disposizione gli strumenti per cercare. Non avremo lo stesso risultato di prima?
Questa è, almeno nella maggioranza del mondo occidentale, la nostra condizione. Abbiamo a disposizione un’infinità di sapere, di notizie ma spesso mal organizzate: nelle scuole c’insegnano saperi scissi e la realtà che ogni giorno ci viene proposta o che scopriamo ci dice tutto il contrario, ci parla di sovrapposizioni e di contaminazioni.
Uno di noi quando era molto piccolo andava con i genitori sulla neve e, premura di madre, era sempre protetto da guanti e occhiali da sciatore. Quando gli veniva chiesto come era la neve rispondeva “…nera nera e calda calda…”. Immaginatevi il suo stupore quando gli tolsero quelle protezioni.
…E ANCHE DENTRO DI ME
A volte uno si crede incompleto / ed è soltanto giovane
Italo Calvino
All’interno di questo palcoscenico una delle sfide più difficili che ci troviamo ad affrontare è quella di rimanere noi stessi. Ma prima di pensare al nostro benessere, a salvaguardare la nostra stabilità, che non vuol dire rigidità o resistere ai cambiamenti ad ogni costo, è necessario fare una riflessione.
L’identità appare come qualcosa d’instabile che cerca la stabilità e che assume più che altro la forma di flusso, di un qualcosa che non ha interruzioni.
Potremmo, con molta attenzione, paragonarla ad un vetro che, appena fatto, ha uno spessore costante ma che con il passare del tempo va ad assottigliarsi in alto e ad acquistare spessore in basso. Nel centro le molecole rimangono apparentemente stabili, è uno strato sottile ma significativo, sulle due facce c’è questo scorrere per gravità, da una parte la nostra vita sociale, le regole, i diritti e doveri, gli amori e tant’altro, dall’altra il nostro intimo, le riflessioni, i pensieri, capacità e possibilità che addirittura non sappiamo di possedere. Tutte queste cose sono strette in una fitta e inscindibile rete che avvolge la nostra esistenza.
Lo strato più interno è costituito dal risultato di quelle dinamiche che in età precoce ci hanno portato alla capacità di sentirci costantemente reali, vivi, la forza di gravità è l’insieme di quello che ci colpisce e che – consapevolmente o meno – è significativo, le due facce sono rispettivamente i luoghi da cui guardo il mondo e da cui il mondo guarda me.
In questa “lotta” cerchiamo di costruirci in maniera coerente e gratificante andando avanti per piroette: nel momento in cui poniamo attenzione al presente subito ci affacciamo verso le novità, verso il cambiamento, lanciando uno sguardo verso il passato.
Il rischio è che tutte queste capriole ci facciano girare la testa e che quindi ci ritroviamo a barcollare senza più possedere la capacità di decidere la nostra direzione.
Dobbiamo allora salvaguardare l’intenzionalità, la possibilità di scelta che ci consente di perdere l’equilibrio quando decidiamo noi – a chi non piace perdersi ogni tanto? – che ci permette di prendere in mano una parte importante, la maggior parte, della nostra vita.
Riassumendo: possiamo rappresentarci come un libro che viene scritto giorno per giorno da me e dagli altri, altri personaggi che riescono a rappresentare le realtà che viviamo o immaginiamo.
Avviene spesso che le parole escono dalle pagine e vanno a stamparsi su altri libri, di altre persone, creando intrecci e legami sociali.
Immaginiamoci di vedere la nostra vita da un luogo privilegiato. Da un palco, come a teatro, vediamo noi stessi che recitiamo la nostra vita.
Il sé sociale comincia a farsi vedere immediatamente.
Vivendo ed entrando in relazione con altre persone, con la società, il soggetto comincia a rendersi consapevole di “essere vivo”, di essere un animale sociale e si rende conto che gli altri reagiscono alle sue azioni ed alla sua presenza. Assume le caratteristiche dei ruoli che deve ricoprire, figlio, studente, amico e poi lavoratore, genitore ecc.
Il sé sociale è il riconoscimento, l’accettazione, la legittimazione che un individuo riceve dagli altri.
Appare evidente come sia necessario una riflessione sulla propria identità personale e professionale, sociale e formativa.
Chi di noi non ha mai detto “…io quando torno a casa il lavoro lo lascio in ufficio…”?
Voler rendere inavvicinabili due aspetti fondamentali della nostra vita è in realtà impossibile o quanto meno fortemente problematico.
Se alzo una divisione tra due alberi che crescono vicini questi saranno in contatto attraverso le radici, il terreno; è inutile cercare di costruire muri, ce lo insegna la storia del mondo e quella personale, non sono mai serviti anzi, spesso hanno reso la vita delle persone ancora più “invivibile” in cambio di una falsa sicurezza.
E QUINDI?
In questa riflessione abbiamo trovato appoggio anche dalla Commissione Europea per l’Educazione, la Formazione, la Gioventù che nel 1997 avvertiva in un suo rapporto di come fosse impellente “…la necessità di valutare le difficoltà della situazione attuale. Questa si caratterizza per una crisi delle istituzioni tradizionali delle società, in particolare della famiglia e dello Stato.
Questi cambiamenti si accompagnano a tensioni sociali che possono essere più intense nel caso degli Stati nei quali il carattere multietnico si accentua. Queste trasformazioni conducono anche ad una rimessa in causa dei modelli di autorità e di potere, alla perdita dei riferimenti sociali ed ad un individualismo non bilanciato da obblighi sociali. A questo si aggiunge la mobilità delle culture e la crescita delle interfaccia che permettono contatti, i limiti sperimentati dalla prima generazione dei meccanismi multilaterali, i fondamentalismi etnici e religiosi, la povertà relativa di certe popolazioni, la marginalità e l’esclusione…” .
Attorno a queste parole e a questi pensieri si è avviata una nuova, generale, attenzione verso la formazione e l’orientamento. Insistiamo: l’incertezza che grava su alcuni dei principali riferimenti che prima apparivano tanto sicuri e stabili ci spinge ad interrogarci su cos’altro possa sostituirli ed in che modo.
Le cose che sono scritte qui sotto sono appunti buttati giù qualche anno fa. Devono essere presi come tali quindi pieni di refusi, sbaffature, imprecisioni, contraddizioni. Ripeto che sono cose buttate giù così.